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Il training autogeno

Il Training Autogeno è un metodo per stare meglio, attraverso un breve periodo di apprendimento. La sua origine risale ai primi decenni del Novecento grazie al dr. J.H.Schultz ed inizialmente si voleva identificare alla tecnica di rilassamento orientale conosciuta come yoga.

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In realtà, la differenza tra le due consiste che quest’ultima mira piu’ alla consapevolezza della percezione del proprio corpo ed al rilassamento del soggetto, mentre il Training Autogeno ha la finalità di agire sulla modifica del “sintomo”, oltre che sul benessere in generale. Infatti, l’utilizzo di esso è a largo raggio, e possono andare a creare modifiche nell’apparato digerente, in quello circolatorio ed in quello respiratorio, a parte il metodo (sempre di T.A.) che si usa per la preparazione al parto e che prende il nome di RAT.

Per compiere un percorso completo di apprendimento di T.A. bisogna apprendere gli 8 esercizi (5 di livello inferiore e 3 di livello superiore), attraverso incontri cadenzati settimanalmente ed una disciplina di ripetizione almeno una volta al giorno, sia in posizione supina che in poltrona. Esiste poi una terza posizione – chiamata d’emergenza – che si può adottare anche su uno sgabello, restando con la testa inclinata verso il basso e le braccia abbandonate tra le gambe. Quest’ultima posizione si chiama “cocchiere a cassetta”.

Le formule che caratterizzano gli esercizi possono raggrupparsi a secondo delle finalità cui volta per volta sono dirette. Queste sono:

  • le formule standard quelle che nel grado inferiore sostengono il contenuto ideoplasico e l’indirizzo ideografico (es. mani calde) e, quindi, sono strettamente caratterizzanti;
  • le formule d’organo specifiche sono quelle indirizzate verso un aspetto particolare (es. su una regione somatica, su una funzione specifica) e non sono contemplate dalla formulazione standard (es. naso fresco);
  • le formule di proponimento mirano ad ottenere un certo effetto comportamentale nel senso piu’ ampio (es: domani non fumo piu’).

Le formule standard sono presenti in tutti gli esercizi del grado inferiore e possono adattarsi o meno anche nel grado superiore, sia pure in una diversa dimensione, es.: vedo le cose dall’alto, la decisione è chiara, davanti al mio occhio interno si sviluppa un’immagine. Gli altri due gruppi di formule funzionano come riserva.

È fondamentale l’atteggiamento con cui le formule devono essere immaginate (meditazione, concentrazione passiva), in ogni caso, esse devono viversi con l’immaginazione “verbale interiore” (ottica e acustica), senza lasciare spazio a idee collaterali e, ove intervengano queste ultime, non vanno combattute, ma lasciate cadere. Le formule devono essere brevi, incisive, eventualmente ritmate, contenere un concetto affermativo e possibilmente anche una rima. Queste caratteristiche, sottolinea Schultz, devono essere presenti soprattutto per le formule di proponimento, considerato che quelle standard sono già fissate anche se con qualche margine di flessibilità. In determinate condizioni, può avere rilevanza notevole non tanto la ritmicità intrinseca della formula, quanto il conformarsi armonico di essa con il respiro ed il battito cardiaco.

Tale metodo, in effetti, costituisce una “ginnastica interiore” e, pertanto il fattore “ritmo” è intimamente connesso nella sua essenza. È indispensabile nell’esecuzione degli esercizi sincronizzare armonicamente le formulazioni con il ritmo fluido e distensivo dell’onda respiratoria, ciò in particolar modo, per i soggetti di tipo motorio. Ad esempio: per la regolazione del battito cardiaco si sincronizzano le frasi in modo che ogni sillaba corrisponde ad una pulsazione. È evidente che non esistono regole fisse, il modo piu’ adeguato per agire viene favorito dalla conoscenza che il terapeuta ha del paziente. In ogni caso, quando il sincronismo si sviluppa spontaneamente, specialmente con l’andamento del ritmo respiratorio, ci si trova di fronte ad un validissimo fattore di concentrazione.

La flessibilità delle formule degli esercizi del grado inferiore non riguarda il contenuto ideoplasico (es. peso, calore) e l’indirizzo topografico su cui è centrato l’esercizio (es. mani, piedi, fronte) e, se la formula proposta è ad esempio: “le mie braccia sono pesanti”, la variazione può farsi soltanto rispetto al peso delle braccia. Tuttavia, vi è sempre l’individualità del paziente, per cui potrebbe preferire l’espressione abbreviata “braccia pesanti” ed il terapeuta non deve irrigidirsi. Anche, nell’induzione di calma, che si dà all’inizio, si può suggerire la formula “calmo, sereno, piacevolmente rilassato/a”. Se gli avverbi danno fastidio si possono eliminare. È il terapeuta che decide di modificare le formule rispettando la personalità del soggetto che gli si presenta.

Gli schemi da seguire, non sono fissi e variano per diversi fattori. Infatti, dapprima è opportuno considerare il valore che il terapeuta attribuisce a certi aspetti del T.A., per esempio, egli può contare più o meno sul fenomeno della “generalizzazione spontanea” del peso e del calore, e di conseguenza, orientare lo schema degli esercizi favorendola o meno, successivamente, bisogna considerare le esigenze particolari che concretamente si manifestano.

Schultz riassumeva l’ordine degli esercizi suddividendoli nelle 12 settimane previste, poi passava alla personalizzazione della tecnica. Gli esercizi, comunque, si possono ridurre o ampliare; il principio terapeutico che resta saldo è quello in cui bisogna condurre il paziente, durante lo stato autogeno (fai da solo) nel “vissuto opposto” alla situazione disturbante, bisogna cercare di portarlo, per esempio, nelle situazioni funzionali che implicano un vissuto di “freddo”, verso il “caldo”, nella situazione di “costrizione” verso una di “distensione”, nelle situazioni di “stretto” verso il “largo”, di “pressione” verso la “leggerezza”, modificando, se necessario, anche lo schema generale. Il T.A. deve essere fatto sempre a misura!

Esistono delle formule di proponimento tipo: nelle sindromi ossessive “me ne infischio di contare”, “me ne infischio di lavare”, negli stati di dipendenza “non sopporto l’alcool”, “non fumo più”, nella balbuzie “io parlo con calma” oppure “ciò che dico è comprensibile”, nell’impotenza psichica e nell’eiaculazione precoce “nel bacino è presente una calda corrente” o “le sensazioni restano”. Pertanto, alcune formule esprimono un divieto ed agiscono soltanto se esiste buona volontà, coadiuvando una decisione.

Luthe, nel soffermarsi su quanto aveva creato Schultz, aggiunse l’esistenza di cinque tipi di formule intenzionali per la modificazione corporea:

  • formule neutralizzanti (da usare quando ci si trova di fronte ad un enorme interesse del paziente per una certa funzione, ad es. il deglutire);
  • formule rafforzanti (che accentuano tendenze motivazionali e psicofisiologiche) ad es. “le mie mani sanno ciò che fanno” formula adatta al musicista insicuro;
  • formule di astinenza (per es. “so di poter evitare il fumo” oppure “gli altri fumano, ma a me le sigarette non interessano”);
  • formule paradossali (per es. “voglio scrivere nel modo peggiore” crampo dello scrittore);
  • formule di supporto (per es. “i nomi sono interessanti” difficoltà a memorizzare i nomi).

Il nucleo centrale delle “formule intenzionali” proposte da Luthe è la loro specificità, nonché l’elaborazione in relazione ai disturbi o ai comportamenti circoscritti. Su un piano tecnico va precisato che le “formule di proponimento” proposte da Schultz sono piuttosto pensate sul piano intellettivo, mentre le “formule d’organo” sono, in genere, visualizzate sul piano immaginativo, tuttavia, la distinzione non sempre è rigida.

In conclusione, il metodo di Schultz, anche con le sue variabili e modifiche trova nella società attuale, frenetica e veloce, grandi consensi e notevole applicazione.

Dott.ssa Maura Livoli
Psicologo/psicoterapeuta/sessuologo/psicoanalista


Cos'è il training autogeno?

Il training autogeno è una tecnica di rilassamento di tipo psicofisico utilizzato dagli specialisti nella cura dell'ansia, dello stress e di particolari malattie fondate su disturbi di natura psicosomatica.

Il training autogeno fu creato intorno al 1930 in Germania dallo psichiatra Schultz che, dopo aver condotto accurati studi sull'ipnosi, riuscì a instituire questa nuova tecnica di rilassamento in grado di risolvere tutte le problematiche psichiche e somatiche dei soggetti in difficoltà.

Il significato intrinseco di questa tecnica e i suoi relativi obiettivi sono racchiusi tutti nel suo nome: infatti training vuol dire "allenamento" mentre la parola autogeno si compone di "autos" che significa "da sè" e genos che significa "che si genera".

Il grande vantaggio del training è che si tratta di una tecnica autogena, dunque auto-indotta da ogni paziente, al contrario dell'ipnosi che invece richiede obbligatoriamente e costantemente la presenza del medico specialista.

Il ruolo dello specialista che pratica sul soggetto in questione il training autogeno è non solo quello di insegnare la tecnica, ma anche quello di fare attenzione affinchè il soggetto apprenda tutti gli esercizi nel modo corretto, facendo emergere grazie a questo metodo i disagi inerenti al vissuto del soggetto stesso allo scopo di risolverli grazie alla loro elaborazione. E' molto importante che il paziente però pratichi costantamente e in forma autonoma tutti gli esercizi spiegati in ordine progressivo dal terapeuta nel corso delle varie sedute in maniera tale che una volta memorizzato il metodo possa poi praticarlo in autonomia.

Bisogna precisare che il training autogeno si fonda su delle specifiche "formule autogene" che manifestano il loro raggio d'azione a livello psicofisico, agendo su tre livelli fondamentali, ossia: fisiologico, ottenendo il ripristino dell'elequilibrio dei sistemi endocrino e nervoso-vegetativo che subiscono molto gli influssi negativi dei disagi di carattere emotivo; fisico, con notevoli risultati sul benessere di tutto l'organismo; psicologico, rielaborando delle situazioni spinose vissute ed imparando a reagire con minore negatività agli eventi che la vita presenta.

Il training autogeno viene utilizzato per la cura dell'ansia, degli attacchi di panico e dello stress, facendo riemergere e risolvendo piano piano il ricordo di eventi traumatici, a volte apparentemente dimenticati dal soggetto, e delle sensazioni negative ad esso correlate. Riulta essere inoltre utile nella cura di altre patologia a base somatica quali l'ipertensione, l'insonnia, l'emicrania e l'asma. Infine questa tecnica di rilassamento trova applicazione anche nell'ambito dello sport in quanto ha la capacità di migliorare la concentrazione, favorire una veloce ripresa delle energie fisiche riuscendo così ad ottenere ottime prestazioni agonistiche.

Fondamentale nella pratica del training è la respirazione che seduta dopo seduta deve diventare sempre più spontanea e naturale possibile. L'esecuzione materiale degli esercizi che compongono il training autogeno prevede l'applicazione secondo tre differenti posture del paziente, ossia: seduto in poltrona, sdraiato sul lettino oppure del cocchiere a cassetta.

Gli esercizi si dividono in due differenti categorie: quelli facenti parte del "Training Autogeno inferiore", che sono i più conosciuti, e quelli del "Training Autogeno superiore".

Inoltre all'interno della categoria del "Training Autogeno inferiore" si trovano in totale sei esercizi di base ossia: due fondamentali ("esercizio della pesantezza" ed '"esercizio del calore") e quattro complementari (esercizio del respiro, del plesso solare, del cuore e della fronte fresca) che vengono eseguiti tutti dopo l'esercizio propedeutico che costituisce l'inizio del trattamento.

Tali esercizi si eseguono quindi in maniera rigorosamente progressiva e secondo il seguente ordine:

a. L'esercizio della pesantezza, che agisce sui muscoli volontari, rilassandoli ed eliminando ogni genere di tensioni che sono la causa di dolori cervicali e quindi anche di mal di testa.
b. L'esercizio del calore, che agisce sui vasi sanguigni, instaurando a livello psichico uno stato di rilassamento e di calma e apportando a livello fisico enormi benefici quali il miglioramento della circolazione di mani e piedi, regolarizzando i livelli di pressione arteriosa, evitando le mestruazioni dolorose e diminuendo gli episodi di vampate di calore in menopausa.
c. L'esercizio del cuore che agisce apportando un miglioramento dei problemi di tachicardia e di ipertensione . Inoltre è molto efficace nel trattamento di soggetti affetti da angina pectoris, extrasistole, bradicardia sinusale o che sono potenzialmente a rischio di infarto.
d. L'esercizio del respiro che ha un'azione sulle funzioni respiratorie apportandone una regolarizzazione. Apprendere questo esercizio si rivela utile sia su problemi di natura psicologica come ansia e panico, in cui la respirazione è fondamentale, sia su disturbi fisici come l'asma.
e. L'esercizio del plesso solare che regola le funzioni degli organi addominali quali viscere e genitali. Infatti per mezzo di questo esercizio il sangue affluisce in quantità maggiore verso questi organi curando patologie quali colon irritabile, vaginismo, impotenza e gastrite. Migliora inoltre il sonno e le energie fisiche.
f. L'esercizio della fronte fresca ha un'azione di vasocostrizione nella zona del capo con conseguente distensione dei muscoli facciali e della testa. Questo esercizio cura la cefalea, la rinite, la congiuntivite e il raffreddore. Inoltre garantisce il miglioramento della memoria e della concentrazione.
Il training autogeno è quindi una tecnica di rilassamento che aiuta ad avere una grande consapevolezza ed un alto autocontrollo del proprio corpo e della propria mente, affrontando così la vita ed i problemi quotidiani in maniera più pacata e quindi con molta meno ansia e stress che poi causerebbero patologie fisiologiche.


Che cos’è lo stress?

Lo stress può essere definito come uno stato percepito di squilibrio fra le esigenze ambientali (lavoro, famiglia…) e le risorse personali/sociali a disposizione per fronteggiarle. Differenziamo una condizione di stress funzionale (eustress) da una disfunzionale e nociva (distress).

La prima è quella che ci permette di non dormire per due notti quando siamo sotto esame e abbiamo necessità di studiare, la seconda è una condizione di stress protratto nel tempo, cronico.

L’eustress quindi migliora la nostra performance migliorando l’attenzione e la concentrazione, se questo stesso stress però si protrae per un tempo molto lungo diventa distress, provocando uno stato di crisi.

Diversi studi dimostrano ormai chiaramente quali possano essere gli effetti dello stress cronico, probabilmente dovuti dall’aumento di alcuni ormoni fra cui il cortisolo.

L’aumento di questo steroide influisce profondamente sul metabolismo del glucosio e quindi sulla persona.

Fra questi troviamo:
Ipertensione
Diabete da steroidi
Danneggiamento del tessuto muscolare
Infertilità
Depressione del sistema immunitario
Degenerazione cerebrale (demenza)
Inoltre risposte disadattive allo stress possono portare a:
Superlavoro
Abuso di sostanze e dipendenze
Alimentazione sbagliata o compulsiva


Migliorare il proprio benessere allora diventa fondamentale in un’ottica preventiva. Per benessere intendiamo stato percepito di un soggetto, secondo un approccio bio-psico-sociale, che prende cioè in considerazione l’aspetto biologico-psicologico e sociale di una persona.

Stare bene non vuol dire solamente non avere malattia (ottica medica) ma vuol dire percepire la propria vita di buona qualità. Fra i fattori interni alla persona che sembrano agire sul benessere troviamo la prospettiva, intesa come fiducia in un futuro migliore e nel raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Un altro fattore importante è l’attenzione, focalizzare l’attenzione specifici stimoli piuttosto che su altri. In particolare è stato dimostrato che per circa l’80 del nostro tempo siamo concentrati sul passato e sul futuro, dimenticando quindi di vivere il presente. Infine provare emozioni piacevoli, in modo tale da diminuire la presenza di sensazioni sgradevoli.

Alcuni suggerimenti allora per migliorare la qualità della vita potrebbero essere:
Affrontare un problema alla volta partendo dal più urgente
Dedicare del tempo ad attività per noi piacevoli e soddisfacenti
Focalizzare l’attenzione sui pensieri che riteniamo utili al nostro scopo, in modo tale da distrarci da quelli inutili e dannosi
Focalizzare l’attenzione sul qui ed ora. Molti studi hanno evidenziato come la meditazione (intesa come auto-osservazione momento per momento) sia utile per migliorare l’attività di diverse aree cerebrali, fra cui quelle deputate all’elaborazione del dolore e del piacere.

Non esiste una pozione magica per liberarsi dallo stress ma uno stile di vita caratterizzato dal prendersi cura di se ogni giorno sia dal punto di vista fisico che psicologico.

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